Il tampone faringeo è divenuto negli ultimi tempi di grande attualità. Con la diffusione della pandemia da coronavirus, è infatti diventato lo strumento diagnostico di riferimento per verificare la positività del singolo al virus.
Eppure questo strumento esiste da svariati decenni e viene impiegato per il controllo delle più svariate infezioni. Come viene quindi effettuato e, soprattutto, a cosa serve?
Naturalmente, quella del tampone faringeo è una procedura che deve essere decisa dal medico di fiducia oppure dallo specialista, indipendentemente dall’infezione che si vuole andare a ricercare. Di seguito, qualche informazione utile.
Cosa è il tampone faringeo?
Per tampone faringeo si intende una procedura diagnostica, eseguita allo scopo di recuperare del materiale biologico dalle mucose o dalle alte vie respiratorie di un soggetto. Il campione di materiale viene quindi inoltrato a un laboratorio che, tramite il ricorso a opportuni reagenti e macchinari, può analizzare la presenza di batteri, virus o miceti.
Quella del tampone faringeo è normalmente una procedura veloce e sostanzialmente indolore. Viene effettuata avvalendosi di un bastoncino cotonato – un lungo cotton-fioc – che viene inserito nel cavo orale del paziente. Il batuffolo in cotone viene quindi adagiato sulla mucosa della parete posteriore della faringe, oltre alle tonsille e l’ugola. Così facendo si impregna di saliva e altre sostanze, affinché possa essere analizzate in laboratorio. Prelevato il campione, il tampone viene custodito in un contenitore sterile e inoltrato per l’analisi.
Quando il tampone coinvolge anche le mucose nasali, si parla più propriamente di tampone naso-faringeo. Oltre che sulle mucose orali, la punta in cotone viene messa a contatto anche con quelle nasali, passando dalle narici.
Il campione prelevato viene quindi sottoposto all’azione di specifici reagenti e inserito in speciali macchinari: il risultato sarà reso disponibile al paziente tra le 24 e le 72 ore.
A cosa serve fare il tampone?
Così come già accennato, il tampone faringeo serve per verificare la presenza di virus, batteri o miceti sulle mucose delle alte vie respiratorie. Lo scopo è quello di identificare l’agente responsabile di infezioni, alcune anche gravi, affinché possa essere avviato un percorso di cura adeguato.
L’impiego più frequente è per la ricerca di batteri. Il campione prelevato viene sottoposto a coltura e, se necessario, ad antibiogramma. È spesso la procedura diagnostica di elezione per l’identificazione dello streptococco – come lo Streptococcus pyogenes – responsabile di gravi infezioni alle tonsille e alle vie respiratorie. Scovato il batterio, può essere avviato l’opportuno trattamento antibiotico. Un processo analogo viene seguito per i miceti.
Quando viene impiegato per i virus, il tampone non serve per stimolare una proliferazione in laboratorio come nel caso dei batteri. Viene invece scelto per identificare porzioni di acido nucleico – DNA o RNA – appartenenti al virus che si vuole analizzare. Per farlo, il campione è sottoposto a elaborate procedure, come la PCR, in grado di amplificare il materiale genetico prelevato confermando così l’infezione.
È bene ricordare come questa tipologia di tampone sia specifica per il virus ricercato: se si vuole verificare la positività al coronavirus, ad esempio, si andrà esplicitamente a ricercare il materiale genetico del SARS-CoV-2 e non di qualsiasi tipo di coronavirus – come il raffreddore – umano.
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Fonte: greenstyle
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