Ecco quali sono le cellule del nostro organismo più colpite dal nuovo coronavirus

cellule

Vie respiratorie, polmoni, intestino. Sono questi gli organi bersaglio principali del coronavirus Sars-Cov-2: qui è dove l’attacco sembra pesare di più. Ma quali cellule delle migliaia che compongono i tessuti sono le più vulnerabili? Una risposta arriva da uno studio, appena pubblicato sulla rivista Cell, condotto da decine di ricercatori coordinati dal Mit di Boston: analizzando migliaia di set di dati hanno identificato tre tipi cellulari che più di tutti gli altri esprimono le proteine che il virus sfrutta per infettare. Questi risultati secondo gli autori potrebbero aiutare chi sta lavorando per sviluppare nuovi trattamenti farmacologici o sta sperimentando farmaci già esistenti.

Cosa dice lo studio

Come già il suo parente Sars-Cov, anche Sars-Cov-2 entra nelle cellule grazie al legame tra la sua proteina spike e il recettore Ace2 sulla membrana cellulare. Ma c’è anche un’altra proteina prodotta dalle cellule che aiuta il virus ad entrare: è un enzima chiamato Tmprss2 e contribuisce ad attivare la proteina spike.

Una volta avuta la conferma biochimica del meccanismo di infezione – ha spiegato Jose Ordovas-Montanes, ex ricercatore del Mit e ora al Boston Children’s Hospital – è venuto spontaneo chiedersi quali tra i migliaia di tipi cellulari che compongono il nostro organismo esprimessero alti livelli sia di Ace2 sia di Tmprss2 e che dunque fossero più vulnerabili all’attacco del virus.

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Per scoprirlo i ricercatori hanno analizzato migliaia di set di dati di sequenziamento di rna contenuti nei database di progetti come lo Human Cell Atlas, il cui scopo è appunto quello di raccogliere i profili di espressione genica di ogni tipo cellulare. Gli scienziati si sono concentrati sui tipi cellulari di polmoni, vie nasali e intestino sia nell’essere umano sia in altre specie (primati e topi).

Le cellule più bersagliate

L’indagine ha identificato tre tipi di cellule che esprimono più di altre le due proteine sfruttate da Sars-Cov-2: gli pneumociti di tipo 2 nei polmoni (cioè le cellule che rivestono gli alveoli, li tengono aperti e consentono lo scambio di gas respiratori), le cellule caliciformi nelle vie nasali (cioè quelle che secernono il muco) e gli enterociti nell’intestino (ossia le cellule responsabili dell’assorbimento dei nutrienti).

“Questa potrebbe non essere tutta la storia, ma sicuramente dipinge un quadro molto più preciso rispetto a quanto sapevamo prima”, ha commentato Ordovas-Montanes. “Ora possiamo dire con un certo livello di sicurezza che questi recettori sono espressi su queste cellule specifiche in questi tessuti”.

Adattamento evolutivo

I ricercatori hanno scoperto anche un altro fatto interessante: alcuni meccanismi di difesa del nostro organismo potrebbero in realtà promuovere l’infezione da Sars-Cov-2. Hanno notato infatti che tra i geni che vengono attivati dagli interferoni (che sono molecole che il corpo produce per potenziare le difese immunitarie contro le infezioni virali in genere) ce ne sono alcuni che influenzano anche l’espressione della proteina Ace2promuovendola. Questa scoperta – ipotizzano gli autori – suggerisce che l’evoluzione abbia selezionato dei coronavirus in grado di sfruttare a proprio vantaggio dei comuni meccanismi di difesa degli organismi ospiti, caratteristica che li ha res più efficienti.

Basandosi su queste evidenze preliminari, è opportuno valutare con attenzione la somministrazione di interferoni per aiutare i pazienti con Covid-19 a combattere l’infezione. “È difficile trarre conclusioni generali sul ruolo dell’interferone contro questo virus”, ha precisato Alex K. Shalek del Mit. “L’unico modo in cui inizieremo a capirlo è attraverso studi clinici attentamente controllati.

Conoscere significa essere consapevoli

“Quello che stiamo cercando di fare è dare informazioni, ha aggiunto Shalek . “Stiamo cercando di rendere consapevoli di meccanismi che potrebbero essere rilevanti”.

Il prossimo passo sarà passare dal profilo dei tipi cellulari bersaglio al profilo dei tessuti bersaglio. Questi modelli, infatti, potrebbero essere utilizzati per prevedere gli effetti di farmaci antivirali già esistenti e sviluppare nuovi trattamenti.

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Fonte: Wired




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